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The Shrouds, la recensione dell'ultimo grande film di David Cronenberg

"Il corpo è la tecnologia e la tecnologia è il corpo". Chi conosce ed è abituato al cinema di David Cronenberg sa che tale dichiarazione non è una semplice frase, ma una delle massime più importanti del suo cinema e in The Shrouds ancora una volta la tecnologia continua a contaminare il corpo, questa volta offrendosi da tramite voyeuristico per la contemplazione del disfacimento materiale del corpo.


La trama di The Shrouds

Karsh in una scena del film The Shrouds

Karsh (Vincent Cassel), è un uomo d'affari che, in seguito alla morte della moglie, ha ideato una tecnologia rivoluzionaria, GraveTech, che permette ai vivi di monitorare i propri cari defunti avvolti nei sudari e assistere così al loro lento decomporsi. Una notte svariate tombe, inclusa quella di sua moglie, vengono profanate e Karsh decide così di capire chi c'è dietro a questi atti vandalici, cercando anche di far fronte al dolore e al ricordo della moglie che lo perseguita.


Un villaggio globale della morte

Il sudario in The Shrouds

Con l'invenzione che Karsh ha concepito, e che ha portato ad una sorta di "religione altamente tecnologica", il regista ci tiene a ricordare, come in passato e ora più che mai, che la tecnologia è il nostro arto in più, "è parte di noi, è noi", che l'essere umano evolve con essa e che "esaminare la condizione umana significa automaticamente esaminare la tecnologia". In qualche modo riecheggia il concetto di Mickey 17, l'ultimo film di Bong Joon-ho.


Che in questo vita siamo tutti connessi già lo sappiamo, ma ora, grazie a questa invenzione, lo siamo anche nella morte, un eterno villaggio globale in cui stiamo tutti vasi comunicanti, ma solo con il corpo, non con l'anima. Qualsiasi messaggio religioso, infatti, con l'ateo Cronenberg, non è possibile, perché il corpo è la nostra gabbia, "Il corpo è realtà", svanito quello svanisce tutto e non rimane più niente, se non qualcosa che appassisce e da avvolgere in un sudario per essere contemplato e "penetrato" con lo sguardo, come Karsh stesso asserisce con la sua evidente allusione sessuale. Il corpo della moglie continua ad appassire eppure Karsh continua ad avere un rapporto con esso, per affrontare ed elaborare il lutto, per tenere vicino chi, in vita, abbiamo amato teneramente.


Ancora una volta, quindi, amore e morte, eros e thanatos, non sono che facce della stessa medaglia (Crash in questo è l'esempio principe). D'altronde una possibile origine della parola amore è proprio quella derivante dal latino a-mors, ovvero senza morte: l'amore che è essenza stessa della vita e al contempo assenza di morte, ma che avrà comunque una fine, quella materiale, data dall'inevitabile fine del corpo a cui non si può porre rimedio.


Un presente che è già futuro

Karsh e Terry in una scena di The Shrouds

The Shrouds è l'ennesimo tassello filmico che dimostra come Cronenberg sia più avanti di qualsiasi altro regista di ogni tempo, profeta e luminare a cui sarebbe troppo facile dare del visionario, in quanto è semplicemente un profondo conoscitore del reale e, di conseguenza, della sua evoluzione futura.


È ancora una volta il Cronenberg che anticipa i tempi con il suo The Shrouds, che continua a dirci che la tecnologia è umana e che evolve con noi, come il nostro dolore, e che è capace di attraversarlo, forse anche di contrastarlo, ma che non servirà comunque a liberarci da esso e che non cambierà niente: il dolore muterà solamente, come il nostro corpo, fino a disfarsi con esso. D'altronde, come lo stesso Cronenberg ci ricorda:"Il dolore e il lutto per la perdita di una persona cara non se ne vanno, neanche facendo un film". Recuperatelo al cinema e, se invece siete tipi da divano, date un’occhiata alle uscite di aprile su Netflix!

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