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Dangerous Animals: una visione spregiudicata da gustare fino all'ultimo morso

Cinquant'anni fa la storia del cinema cambiava per sempre con l'uscita al cinema del film Lo squalo (1975), di Steven Spielberg. Questa pellicola, infatti, oltre a definire il concetto di blockbuster estivo, ha fomentato ancora di più la paura del pubblico per il mare, luogo e al tempo stesso non luogo che più di tutti rappresenta l' inesplorato e l'ignoto e, proprio per questo, fonte inesauribile di paure primordiali.


Proprio queste ultime sono al centro di Dangerous Animals, survival horror diretto dal regista Sean Byrne, al suo terzo horror dopo Loved Ones (2009) e The Devil's Candy (2015), dove la paura per la creatura più spaventosa dell'oceano, il grande squalo bianco, si inframezza a quella verso l'essere più feroce e imprevedibile del pianeta: l'essere umano.


Dangerous Animals: di cosa parla?

Zephyr (Hassie Harrison) in una scena del film
Zephyr (Hassie Harrison) in una scena del film

Zephyr, giovane surfista ribelle, viene rapita da un eccentrico serial killer e portata a bordo della sua barca, al largo nell'oceano. In breve, la ragazza scoprirà che il suo rapitore prova piacere nel dare le sue vittime in pasto gli squali affamati, e che tra queste ci sarà anche lei. Decisa a salvarsi, Zephyr dovrà fare ricorso a tutta la sua astuzia e al suo sangue freddo se vorrà uscirne viva e indenne.


Il voyeurismo animale su schermo

Tucker (Jai Courtney) in una scena del film
Tucker (Jai Courtney) in una scena del film

È naturale, quasi una regola, che se un film ha successo, ne seguiranno istantaneamente dei sequel e innumerevoli imitazioni e brutte copie. Dangerous Animals, non mancando di fare riferimento al capostipite del genere, trova però un suo tratto distintivo, pur nella semplicità di fondo che lo contraddistingue.


Da sempre il mare genera la vita (è dal mare che siamo venuti e forse sarà lì che torneremo), ma è anche terreno di morte a causa di coloro che lo abitano (o che ci navigano). Laddove però uno squalo agisce sempre secondo natura, l'uomo, in questo caso il nostro serial killer, agisce innaturalmente, in maniera deviata, seguendo un impulso sadico e voyeuristico, aspetto, quest'ultimo, conturbante del cinema stesso.


L'amante del cinema, e del genere horror in particolare, infatti, non potrà fare a meno di identificarsi nei panni dell'assassino, e non potrà fare a meno di distogliere lo sguardo dalla violenza su schermo, dalle visioni raccapriccianti e disgustose che gli si parano davanti ogni volta che affronta una nuova esperienza audiovisiva, proprio come il serial killer del film, che attraverso una telecamera filma l'esatto istante della morte delle sue prede divorate dagli squali, ossessionato dal rituale dello sguardo, ripetuto all'infinito, come un qualunque spettatore, pervaso, anch'esso, dallo stesso perverso piacere, simile a quello provato quando si assiste ad un qualunque documentario del National Geographic sul comportamento in natura di animali pericolosi: finché il pericolo non riguarda noi ne siamo pienamente partecipi, godendo profondamente, fino all'ultimo morso.


Il perfetto esempio di horror estivo

Zephyr (Hassie Harrison) in trappola in una scena del film
Zephyr (Hassie Harrison) in trappola in una scena del film

Piacere perverso o meno, quello per il genere horror non stanca mai, bello o brutto che sia, e Dangerous Animals rientra perfettamente in quella categoria di horror commerciale, non certo d'autore come nel caso di Presence, fatto come si deve, da un regista capace come Sean Byrne che nell'utilizzo di spazi ridotti, il film appare come un Kammerspiel a tutti gli effetti, e di espedienti efficaci per non esaurire la trama in sé stessa ha confezionato un film godibile nelle sue tempistiche e nello svolgimento, oltreché rivedibile (lo stesso non si può dire di M3GAN 2.0), un perfetto esempio di horror estivo che è quello di cui il pubblico ha bisogno per avvicinarsi o per continuare ad apprezzare il cinema di genere.


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